Il ruolo della donna nella Daseinsanalyse di Ludwig Binswanger
Gli studi di genere non hanno avuto alcuna difficoltà a denunciare l’egemonia maschile in psichiatria. È bastato fare leva sull’utero. La connotazione anatomica del termine isteria(1) e la plurisecolare strumentalizzazione di questa patologia da parte di numerose discipline scientifiche e non (dalla medicina alla filosofia, dalle scienze naturali alla teologia), sono state sufficienti per impostare un’accusa efficace contro numerosi modelli esplicativi della cultura psichiatrica occidentale. Proprio in quanto per secoli l’isteria era stata uno dei perni del potere e dell’onnipotenza in campo psichico, negli ultimi decenni ha potuto innescare la denuncia dello strapotere maschile in questo settore(2). Nel caso della psicoanalisi, non solo l’impresa è risultata particolarmente agevole(3), ma ha segnato la linea di condotta “uterocentrica” di numerose altre indagini di genere.
È possibile formulare il discorso sulla donna in psichiatria in maniera più differenziata, estendendolo anche ad altri periodi storici, senza ricorrere necessariamente all’isteria? È possibile inscrivere in questo orizzonte anche altri paradigmi interpretativi, come ad esempio la Daseinsanalyse(4) di Ludwig Binswanger? Uno studio più approfondito della figura della donna nella Daseinsanalyse potrebbe fornire risultati indicativi, nella misura in cui essa è emersa dopo “scomparsa” dell’isteria dalle istituzioni psichiatriche, dagli studi privati e dalla letteratura primaria. Inoltre, nonostante Binswanger abbia presto rivendicato e dimostrato la sua autonomia rispetto alla scuola viennese, la sua dottrina è nata proprio da un confronto diretto con la psicoanalisi.
Come Freud, anche Binswanger ha elaborato le sue pubblicazioni scientifiche traendo spunto dai propri pazienti. A differenza di Freud, Binswanger aveva a disposizione una riserva pressoché inesauribile di casi clinici; migliaia di cartelle cliniche conservate nell’archivio della clinica psichiatrica di famiglia, il sanatorio Bellevue. Un censimento della popolazione della Bellevue(5) ha permesso di stabilire che, durante la direzione di Ludwig Binswanger (1911-1956), i pazienti di sesso maschile erano in leggera ma costante maggioranza, sia in relazione alle frequenze annuali (vedi istogramma 1(6)), sia riguardo al numero complessivo: il 54,4% (2113 unità) della popolazione era costituito da uomini e il 45% da donne (1775 unità).
Va tenuto presente che nelle istituzioni psichiatriche, soprattutto se si tratta di istituti privati, la prevalenza di un sesso rispetto all’altro dipende soprattutto da fattori interni. La capacità dei vari reparti femminili e maschili può essere considerata una variabile determinante. Alla Bellevue, la preponderanza di pazienti di sesso maschile è più intensa proprio nei periodi di maggiore affluenza e quindi di maggiore flessibilità nell’inserimento dei pazienti nei vari settori. Ciò può far supporre una tendenza ad accogliere preferibilmente pazienti di sesso maschile, una politica riconducibile al fondatore della clinica(7). In questo primo periodo, la predominanza maschile nelle istituzioni psichiatriche era favorita dal fatto che le donne erano tendenzialmente accudite nel nucleo familiare, soprattutto se nubili. Verso la fine del XIX secolo, si assiste invece a un’omogeneizzazione dei due gruppi, se non a un vera e propria inversione delle percentuali, dovuta a una maggiore sensibilità dei medici per le malattie delle donne e/o a una minore tolleranza nei confronti dei comportamenti devianti da parte della famiglia e della società in generale. Di conseguenza, dai dati relativi ai ricoveri in cliniche private non si può evincere se siano gli uomini o le donne a essere maggiormente colpiti da malattie mentali.
Alla luce della leggera prevalenza di pazienti di sesso maschile alla Bellevue, ci si potrebbe aspettare una corrispondenza – o quanto meno un tendenziale riflesso – di queste proporzioni nelle pubblicazioni scientifiche di Binswanger. Tuttavia, un rapido sguardo ai maggiori scritti di taglio daseinsanalitico smentisce immediatamente l’ipotesi di una simile corrispondenza di proporzioni. Basti soffermarsi sull’indice di Schizophrenie (Binswanger L., 1957), dove quattro dei cinque studi riportati sono dedicati alla vicenda clinica di donne(8).
Un’analisi più approfondita di questa raccolta può essere giustificata sulla base delle due intenzionalità manifestate esplicitamente da Binswanger. Da una parte, questo volume è stato concepito per presentare e illustrare alla comunità scientifica la Daseinsanalyse in modo organico e sistematico. Dall’altra si tratta di un contributo casistico allo studio della schizofrenia, patologia che “si addice in qualche modo al nostro tempo, come l’isteria trovò nel mondo pre-settecentesco il suo terreno” (Jaspers K., 2001, p. 174), con la differenza che, mentre l’isteria fu una prerogativa femminile, la schizofrenia non manifesta delle evidenti preferenze sessuali. Per questa patologia, non sono infatti riscontrabili delle differenze significative nella distribuzione in base al genere.
Per presentare la Daseinsanalyse alla comunità scientifica attraverso dei casi concreti, Binswanger aveva a disposizione 900 pazienti schizofrenici(9). Perché ha deciso di illustrare sia la schizofrenia, sia la sua impostazione scientifica attraverso l’analisi di vicende cliniche femminili? Se la scelta di privilegiare la casistica femminile non è dovuta a un evidente preponderanza di donne nel caso dalla patologia descritta, essa potrebbe essere legata più strettamente alla Daseinsanalyse. Potrebbe dunque essere opportuno analizzare l’impostazione daseinsanalitica degli studi raccolti nel 1957 alla luce della figura femminile. A questo scopo possono essere isolati due grandi nuclei concettuali: ovvero la nozione di “tema della vita” e quella di libertà.
Secondo Binswanger, nella sua accezione più generale, il tema della vita non si iscrive in una dimensione propriamente psicopatologica. La vita di ognuno si declina in un certo numero di temi: alcuni più importanti, altri che sono o possono essere considerati secondari. Dal punto di vista squisitamente daseinsanalitico, la salute o la malattia mentale del singolo individuo si manifestano precisamente nella gestione di questi elementi costanti. La salute mentale è garantita dall’abbondanza di temi e dalla flessibilità con cui sono gestiti dal soggetto che li vive. La malattia risulta invece dall’estrema riduzione dei temi realmente significativi per un individuo e dalla rigidità con la quale l’individuo organizzata la propria vita in funzione di essi. Proprio a partire da tali temi, l’esistenza del malato diventa accessibile e comprensibile al medico. La storia clinica è in ultima analisi una storia dei temi.
L’“assolutizzarsi” di un tema dominante ha come conseguenza il restringimento delle possibilità dell’esistenza, situazione che può rappresentare un vero e proprio humus per scompensi di natura psichiatrica. Ridursi dunque a pochissimi temi, o addirittura a un unico tema, rappresenta una grave “predisposizione” alla malattia mentale. Ora, nel periodo storico in cui Binswanger elaborava la sua proposta analitica, le possibilità dell’esistenza femminile erano in sé già piuttosto ridotte(10). Come dire che la situazione della donna costituiva una predisposizione (indotta) alla predisposizione alla follia. In ultima analisi, non siamo molto lontani dalla configurazione sociale che alla fine del XIX secolo sembra avere favorito lo sviluppo dell’isteria come fenomeno di massa, come reazione quasi collettiva alla noia e alle restrizioni a cui erano destinate le donne appartenenti alla borghesia occidentale. Eppure, se consideriamo, nel caso della schizofrenia, l’effettiva manifestazione (il passaggio dalla potenza all’atto) della malattia, non troviamo un vero e proprio riscontro per questa eventuale maggiore vulnerabilità della donna.
La nozione di libertà, che costituisce uno dei nuclei concettuali più importanti della Daseinsanalyse, conduce a risultati assimilabili. Per Binswanger, anche se la presenza umana “non ha posto da se stessa il proprio fondamento, ma ogni volta lo ha assunto come suo essere e suo retaggio, le resta tuttavia la libertà per il fondamento” (Binswanger 1945, p. 244) la libertà di aderire ad esso. Nella storia di vita del paziente sono coinvolti allo stesso modo destino e libertà. Entrambi devono essere considerati responsabili della scelta dei temi della vita e della configurazione delle loro variazioni. È nella dialettica di destino e libertà che va cercato il momento specifico della malattia mentale.
Nell’introduzione al volume che raccoglie i suoi studi dedicati alla schizofrenia, Binswanger tematizza in che cosa consiste questo rapporto patologico (e patogeno) fra destino e libertà: ovvero l’arbitrarietà. Arbitrarietà consiste nel non lasciare “essere gli enti (tutti gli enti) come sono di per se stessi” (Binswanger L., 1957, p. 253) nel voler “disporre delle ‘cose’ in maniera arbitraria, quasi a comandare loro il modo in cui dovrebbero essere” (ivi., p. 254). All’arbitrarietà della decisione consegue un’esperienza arbitraria e patologica delle cose. Secondo Binswanger, il Dasein, ovvero la presenza umana, maschile o femminile che sia, ha la libertà di agire e di assumersi le responsabilità delle proprie azioni(11). Di conseguenza, la Daseinsanalyse, che “sa di una libertà per il fondamento, di una libertà nel senso di autoresponsabilità […] nel senso di un libero atteggiamento dell’uomo anche di fronte al suo ‘carattere’” (Binswanger L., 1944/45, p. 149/150), deve tenere conto di questa libertà. Infatti, essa “si attiene al fatto che l’essere uomo [Menschsein] non è soltanto un dover-essere, ma anche un poter essere e un avere-la-facoltà-di-esser, un essere-al-sicuro nell’essere in quanto totalità” (Ibidem, p. 150).
La libertà del poter essere non è una conquista definitiva, ma deve essere costantemente riguadagnata nel corso della storia della vita. Le dinamiche di questa riconquista sono chiarite attraverso l’esempio del drammaturgo Henrik Ibsen. Proprio sul filo della storia di vita di Ibsen, Binswanger analizza il rapporto fra autorealizzazione e libertà, legata, fra l’altro all’ampiezza dell’orizzonte esistenziale, al numero di temi a disposizione(12). La libertà va coltivata, nutrita, poiché essa “ha la caratteristica di ampliarsi costantemente durante l’acquisizione”, ma “se qualcuno durante la lotta si ferma e dice: ora la possiedo! – con questo dimostra di averla perduta” (Binswanger L., 1949, p. 9). La libertà è dunque una costante conquista e la possibilità della sua perdita è per l’uomo una minaccia incombente. Per la donna però, questa perdita rappresenta una minaccia pressoché immanente.
Ora, non mi spingerò al punto da sostenere che “la donna impazzisce perché non è un uomo” (cfr. Pusch F., 1992). Sappiamo che negli anni in cui Binswanger fondava la sua dottrina sulla diade destino-libertà, le donne non godevano di una libertà assoluta e non potevano sempre sperare di essere le artefici del proprio destino. Eppure, anche in questo caso, la limitata libertà non conduce a una maggiore incidenza femminile nel caso della schizofrenia. L’ipotesi (femminista?) che la malattia fosse proprio una reazione, un risposta, al restringimento di possibilità esistenziali e di libertà(13) può essere considerata plausibile soltanto per l’isteria. Che anche la schizofrenia sia riducibile a una “astuzia dell’impotenza” (cfr. Honegger C./Heintz B., 1981) non è altrettanto sostenibile, per il semplice fatto che la schizofrenia non è una manifestazione esclusiva delle minoranze.
In questo caso, non si tratta però di dimostrare se e perché le donne si ammalino più degli uomini. Potrebbe essere invece importante capire perché, nonostante le possibilità ristrette, vale a dire una eventuale maggiore predisposizione alla malattia, le donne non si ammalassero (di schizofrenia) più degli uomini. L’interesse di questo studio non è però né epidemiologico né “immunologico”. Ciò che mi incuriosisce è piuttosto il fatto che, nonostante Binswanger avesse a disposizione un numero sostanzialmente identico di pazienti maschili e femminili, egli abbia preferito illustrare la Daseinsanalyse alla luce delle storie cliniche delle donne.
Come in altre discipline scientifiche, anche nella Dasiensanlyse possiamo individuare un nesso fra la rappresentazione comune della donna e il modello conoscitivo proposto (o imposto). Nonostante la presenza femminile nelle pubblicazioni scientifiche non sia più dettata, come nel caso dell’isteria, dalla patologia descritta e a dispetto dei timidi ma percettibili progressi in campo sociale, la donna è rimasta oggetto privilegiato del discorso scientifico. Forse perché rappresenta ancora in qualche modo la natura da studiare, da conoscere, da dominare. Forse perché nel ventesimo secolo la natura ha ancora, come diceva Claude Bernard, una voce femminile. L’immagine di una natura (e di una donna) passiva, ricettiva, malleabile permane.
Nel 1935 Binswanger aveva definito proprio una giovane donna la “più interessante analisi della [sua] vita”(14). Si tratta, in questo caso, di un trattamento psicoanalitico. Fu così anche per la Daseinsanalyse? Non sappiamo se Binswanger considerasse le donne più interessanti degli uomini. Ciò che risulta da questo studio è anche nel caso della Daseinsanalyse le donne sembrano più adatte a illustrare e giustificare – e forse anche ad accettare – la conoscenza e il dominio scientifico (degli uomini). Esse rappresentano “naturalmente” le condizioni di possibilità della malattia mentale: la mancanza di libertà, un orizzonte tematico ristretto e la conseguente inclinazione all’arbitrarietà (che in molti casi sembra l’unica alternativa alla libertà) ne fanno un eccellente oggetto daseinsanalitico. Nella donna, queste caratteristiche patologiche (e patogene?) sono infatti enfatizzate, se non esasperate, e in quanto tali sono più chiaramente illustrabili. Le donne sembrano dunque più funzionali al discorso scientifico, sia quello pubblico dei testi scientifici, sia quello privato delle sedute analitiche.
In conclusione, vorrei comunque tornare brevemente all’isteria. Non è difficile intuire come Anna O, il più celebre caso di isteria di Freud, avrebbe immaginato la giustizia divina, se fosse stata paziente di Ludwig Binswanger(15) e se fosse stata colpita dalla schizofrenia: “Se esiste una giustizia nell’aldilà, le donne faranno le leggi e gli uomini partoriranno”. (citazione di B. Pappenheim in Jensen E. N., 1984, p. 185)
BIBLIOGRAFIA
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(Notas)
1) Dal greco hustéra “utero”.
2) Gli studi dedicati a questa problematica sono innumerevoli. A titolo rappresentativo possono essere citati Broverman I et. al., 1970, Masson J. M., 1986, Hoffmann D., 1991.
3) Freud aveva iniziato a elaborare la teoria psicoanalitica proprio a partire dagli studi sull’isteria. Paradossalmente, proprio le ricerche storiche sul suo più celebre caso di isteria, Anna O, hanno fatto vacillare le prime guarigioni rivendicate dalla psicoanalisi (cfr. Hirschmüller A. 1978).
4) Ludwig Binswanger (1881-1966) nasce a Kreuzlingen (Svizzera) da un’affermata famiglia di psichiatri. Dopo essersi formato con Carl Gustav Jung (1875-1961) e Eugen Bleuler (1857-1939), nel 1911 ereditò la direzione del “Sanatorium Bellevue”, la clinica psichiatrica fondata dal nonno Ludwig Binswanger sen. nel 1857. Nel 1907 Jung lo presentò a Sigmund Freud (1856-1939), con il quale intrattenne una lunga corrispondenza. In questi anni, il percorso scientifico di Binswanger è profondamente segnato dalla psicoanalisi. A partire dagli anni Venti, Binswanger inizia a interessarsi alla fenomenologia di Edmund Husserl (1859-1938) e alla Daseinsanalytik di Martin Heidegger (1889-1976). Fu proprio per l’espliciti riferimenti alla dottrina di Heidegger che lo psichiatra Jakob Wyrsch coniò nel 1942 il termine Daseinsanalyse per designare l’impostazione psicopatologica di Binswanger. A differenza della psicoanalisi e della psichiatria positivista, gli sforzi della Daseinsanalyse si concentrano sull’intera presenza umana, tentando di “comprendere” il paziente, invece di “spiegarlo”. Assumendo che la malattia mentale è soltanto un “diverso modo di essere nel mondo”, Binswanger ha contribuito alla de-reificazione del paziente al superamento della dicotomia sano-malato. Per meglio distinguere l’impostazione di Binswanger da altre proposte analitiche, mantengo qui il termine tedesco Daseinsanalyse piuttosto che riproporre traduzioni meno efficaci o esclusive come antropoanalisi o analisi esistenziale o psichiatria fenomenologica.
5) I dati riportati in questo studio sono stati elaborati a partire dalle frequenze annuali della clinica Bellevue. Tutto il materiale clinico-amministrativo della clinica è conservato presso l’Archivio Binswanger (Universitätsarchiv Tübingen, Germania).
6) Questo sbilanciamento è esasperato nel periodo fra i due conflitti mondiali. Soltanto durante l’ultimo decennio della direzione di Ludwig Binswanger, a partire dal periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale si verifica un rovesciamento delle proporzioni a favore della clientela femminile. Che questa controtendenza sia un riflesso della guerra potrebbe essere avvalorato dal fatto che nel triennio 1917/19 si registra un fenomeno analogo.
7) I dati relativi alla direzione di Ludwig Binswanger sono infatti in linea con quelli registrati fra il 1857 e il 1880: 56,3% di uomini e 43,7% di donne (Cfr. Moses A./Hirschmüller A. 2004, p. 150).
8) Questo volume raccoglie cinque casi clinici pubblicati precedentemente in diverse riviste scientifiche: il caso Ellen West (1944/45), il caso Ilse (1945), il caso Jürg Zünd (1946/47), il caso Lola Voß (1949) e il caso Suzanne Urban (1952/53). Le citazioni in questo testo riportano la data della prima pubblicazione. La pagina si riferisce invece al volume consultato.
9) Questo numero indica i singoli ricoveri. L’unità di pazienti affetti da schizofrenia deve essere considerata inferiore, poiché alcuni pazienti hanno subito più di un ricovero. A ogni nuovo ricovero corrispondeva in nuovo numero di ingresso. Non è stato effettuato un censimento di questi ricoveri in base al sesso dei singoli pazienti. Ci si può tuttavia aspettare una corrispondenza con le percentuali relative ai ricoveri complessivi, vale a dire un sostanziale equilibro fra i due generi.
10) Trovo sostegno in Akavia, che nel suo saggio dedicato alla gestione del caso Ellen West, fa riferimento alla limitatezza di possibilità a cui erano sottoposte le donne (e le minoranze) all’epoca in cui Binswanger sviluppava la sua dottrina incardinata sulla libertà e sulle possibilità (cfr. Akavia N. 2003, p. 123-124).
11) Come ha sottolineato Paracchini, in Binswanger “l’esserci, che è già responsabile per aver posto le condizioni del processo che lo condurrà al delirio, diviene ora responsabile anche del fenomeno del rovesciamento e quindi dell’ingresso nell’esperienza delirante propriamente detta” (Paracchini 2004, p. 45).
12) Il fatto che l’unico testo di Binswanger dedicato a un’esistenza riuscita, sia stato ispirato a un artista, non è casuale. L’artista, infatti, possiederebbe un orizzonte tematico molto più ampio di quello dell’uomo comune. In questo senso, l’artista costituisce il contrappunto della donna, tanto che si potrebbe azzardare una “gerarchia tematica” con l’artista al vertice e la donna alla base.
13) L’isteria è stata vista come forma di resistenza femminile alla situazione sociale delle donne, soprattutto durante l’età vittoriana. La donna isterica sarebbe stata dunque “il prodotto della cultura del suo tempo e allo stesso tempo una denuncia di questa cultura” (Smith-Rosenberg C., 1981, p. 229).
14) In una lettera a Hans Berger (1873-1941), inventore dell’elettroencefalogramma, Binswanger scrive: “Poco fa ho dimesso, dopo quasi quattro anni di analisi, la signorina S. Ella è quasi guarita e spero che nel corso dell’anno si giunga a una completa guarigione. La più lunga e interessante analisi della mia vita!” (lettera di Binswanger a Berger 6.2.1935, UAT 443/43.
15) Anna O, al secolo Berta Pappenheim [cfr. nota 3], fu effettivamente una paziente della Bellevue. Tuttavia, il suo soggiorno a Kreuzlingen risale al periodo della direzione di Robert Binswanger (1850-1910), padre di Ludwig. Lo smascheramento della sua presunta guarigione dovuta alla psicoanalisi freudiana fu possibile proprio grazie allo studio della cartella clinica di Berta Pappenheim alla Bellevue (cfr. Hirschmüller A., 1978).